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Intreccio tra razza e classe

Convinti che l'elezione di un presidente nero avesse finalmente inaugurato una società post-razziale, opinionisti e leader politici statunitensi avevano messo in pensione l'accusa di razzismo dal discorso pubblico.

Con la maggior parte delle porte aperte di club privati e quartieri bene alle élite afro-americane, con celebrità, eroi dello sport e dello spettacolo di colore ampiamente accettate dai bianchi, le barriere razziali - ci avevano detto - erano cosa del passato.

Barack Obama fece molto durante la sua presidenza per evidenziare questa immagine, evitando sistematicamente qualsiasi allusione a modelli di ingiustizia o intolleranza razziale.

E quando la violenza razzista della polizia, inizialmente ignorata, è stata portata alla ribalta dalla denuncia inequivocabile delle onnipresenti videocamere e telefoni cellulari, i media e i leader politici l'hanno respinta come aberrante o legalmente ambigua.

Il presidente Obama ad aprile di quest'anno, tenendo una lezione ai giovani sul valore della pazienza e dell'incrementalismo a Londra [a proposito dell'allora eventuale Brexit, ndt], ha cercato di minimizzare la questione: "Non si può solo continuare a urlare", osservazione indirizzata al portavoce di Black Lives Matter, organizzazione statunitense contro la violenza della polizia.

Tuttavia, il razzismo è tornato. A dire il vero, non ci aveva mai lasciato, ma non attraeva l'attenzione di chi prima era cieco e sordo. Il catalizzatore della nuova consapevolezza è Donald Trump. Il razzismo sistematico di Trump nella costruzione del suo impero immobiliare è ben documentata, anche se non ha turbato i media e né i leader del Partito Democratico, fino ad ora.

Il suo isterico e ampiamente diffuso tentativo di linciaggio di cinque giovani neri innocenti - i Central Park Five - non gli ha negato il divismo televisivo, né l'amicizia delle celebrità. I Clinton hanno socializzato con lui, presenziando gentilmente a uno dei suoi matrimoni.

Come i Clinton e la maggior parte delle élite, il suo razzismo è intriso di ambizione. Quando è economicamente o politicamente conveniente - per imporre transazioni immobiliari razziste (Trump) o smantellare il welfare (Clinton) - dei principi abbracciati pubblicamente possono venir facilmente compromessi.

Hillary Clinton vorrebbe farci dimenticare la sua definizione dei gruppi di giovani neri come "superpredatori", termine razzista che evoca un immaginario animalesco.

Opportunisticamente la Clinton ha lasciato cadere il volto liberale per promuovere la norma draconiana varata dal Presidente Bill Clinton che di fatto criminalizza centinaia di migliaia di afro-americani e ne terrorizza ancora di più.

E' quindi semplice accorgersi dell'ipocrisia della campagna mediatica contro il fanatismo di Trump. Ma è peggio l'attenzione pelosa di Clinton: una cinica commedia sul razzismo, una reazione superficiale da spogliatoio. La crudezza sprezzante e la spaventosa insensibilità di Trump per gli afro-americani, donne e immigrati è giustamente rifiutata dai media mainstream, ma ben poco viene fatto per gli effetti devastanti del razzismo istituzionale o strutturale, per il peso sociale ed economico che opprime gli afro-americani come gruppo.

I circoli dominanti, i politici e i loro media servili, adottano un linguaggio politicamente corretto sul piano razziale, ma una disuguaglianza sistemica allontana le opportunità dalle vite dei neri americani.

Il primo sanguinoso passo verso l'emancipazione degli afro-americani è venuto con la loro fuga dalle catene della schiavitù.

Dopo oltre 200 anni di lavoro forzato e dell'umiliazione di esistere in quanto merce, la speranza di una piena cittadinanza arrivata con il rovesciamento della schiavitù è stata rapidamente soffocata.

La segregazione, i diritti civili negati e la promessa non mantenuta di una seppur minima indipendenza economica ("40 acri e un mulo") hanno lasciato i neri nominalmente "liberi", ma legati ad un inferiorità universale.

La duratura e persistente lotta per i diritti civili ha dato i suoi frutti nel 1960 con l'acquisizione di una vasta serie di diritti per superare la segregazione legale, delegittimare la discriminazione e rimuovere numerosi ostacoli al diritto di voto.

Gli afro-americani hanno compiuto un altro passo importante verso una completa emancipazione, ma, anche questa volta, hanno mancato la piena parità.

Per i liberali, la strada per l'uguaglianza razziale passava per l'educazione pubblica. Si era pensato, mescolando studenti neri tra studenti bianchi e viceversa all'interno dei distretti scolastici urbani, di abbattere le barriere esistenti e garantire pari opportunità educative.
Le élite liberali che hanno inviato i loro figli in scuole private o parrocchiali concordavano con questa soluzione.

Ma quando i riformatori in materia di istruzione hanno compiuto il passo logico di integrare distretti urbani più poveri con le comunità suburbane dei ceti medi e medio-alti, la campagna per l'eguaglianza è stata archiviata.

Con la sentenza del 1974 della Corte Suprema nel caso Milliken contro Bradley (sull'integrazione dell'85% del distretto scolastico nero di Detroit con i distretti scolastici suburbani dei bianchi), l'integrazione scolastica è stata ripiegata.

Oggi, ad eccezione delle ex scuole segregazioniste del Sud, le scuole sono maggiormente divise sul piano razziale di quanto non fossero prima della sentenza Brown contro Board of Education del 1954 e senza rimedio all'orizzonte.

L'altro percorso preferito per raggiungere la piena emancipazione era costituito dalle azioni positive: obiettivi politici efficaci per l'inclusione degli afro-americani nella vita pubblica e privata.

Dopo alcuni successi iniziali, le politiche di azioni positive vennero erose al punto che oggi sono praticamente inesistenti, al di fuori dell'istruzione superiore.

Il Partito Democratico, il partito che ha beneficiato maggiormente del voto afro-americano in epoca moderna, ha praticamente abbandonato la ricerca della piena uguaglianza e dell'eliminazione del razzismo strutturale e istituzionale.

Venti anni dopo il varo della storica legislazione sui diritti civili e il voto, la proposta politica del Partito Democratico a malapena menziona gli afro-americani.

Il documento datato 1986 di 83 pagine, New Choices in a Changing America, non riconosce ostacoli per i cittadini neri, non offre soluzioni specifiche ai problemi afro-americani e riafferma la "benevola negligenza" che costituisce la politica del Partito Democratico da allora.

La lotta per la piena emancipazione degli afro-americani negli Stati Uniti rimane una questione aperta.

Gli afro-americani seguono in modo significativo le loro controparti bianche in tutti i principali indicatori di benessere sociale ed economico.

Fino a quando ai neri saranno garantiti i mezzi e le opportunità formali di partecipazione a tutte le istituzioni della società statunitense, rimarranno incatenati all'eredità della schiavitù.

Quando un popolo manca dei mezzi economici per avanzare, quando resta trattenuto dall'isolamento fisico, quando è appesantito da alloggi e servizi pubblici sotto gli standard, allora le opportunità formali non sono chiaramente sufficienti.

In parole povere, l'ideale liberale delle pari opportunità non è da solo sufficiente per continuare il cammino verso la piena uguaglianza.

E' sempre più chiaro come il razzismo del 21° secolo si concateni in modo schiacciante con la classe. Mentre uno strato notevole di afro-americani di "successo" godono dei frutti dell'era dei diritti civili - un gruppo che gli scrittori di Black Agenda Report definisce ironicamente "Black Misleadership Class" - le masse dei neri americani ancora lottano contro povertà, redditi bassi, servizi penosi e abbandono.

Malcolm X e Martin Luther King, leader assassinati, riconoscevano, prima che li perdessimo, i limiti dell'uguaglianza formale e sottolineavano la necessità primaria di una uguaglianza economica: iniziavano a lanciare al capitalismo una sfida per il raggiungimento dell'uguaglianza.

Ci sono segnali incoraggianti che gruppi negli Stati Uniti come Black Radical Organising Collective Black is Back Coalition siano in questo spirito, alla ricerca di risposte che vadano al di là dell'elezione di un presidente nero e della moralizzazione di un risultato elettorale.

 

Zoltan Zigedy | mltoday.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

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