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Breve storia della Rete dei Comunisti

Rete dei ComunistiIl nome può trarre in inganno, anche se forse in un primo momento ha aderito maggiormente al progetto che accompagnava e ha svolto con efficacia una certa funzione. Quella, per l’appunto, di mettere in comunicazione compagne e compagni (alcuni dei quali collocati criticamente entro confini di soggettività politiche precedenti) che non volevano rassegnarsi alla deriva impressa da dirigenti politici irresponsabili (o più che responsabili se etero-diretti) al movimento operaio/di classe e comunista nel nostro paese.

La Rete dei Comunisti – oggi – coltiva l’ambizione di riannodare i fili di un alfabeto marxista caduto colposamente in disuso e di rilanciare l’idea della rappresentanza politica del blocco sociale di riferimento, prima e oltre (senza prescindere) dal consueto piano elettoralistico-istituzionale. L’implosione - negli ultimi risultati elettorali - delle principali formazioni politiche derivanti dalla vecchia storia del PCI e da quella extraparlamentare o della 'nuova sinistra', rende più che mai urgente la definizione e la messa a punto di una prospettiva strategica che non può fare a meno della ricostruzione storica di quest’originale esperienza politica del movimento di classe e del marxismo italiano. Lo sforzo attuale, ad esempio, di trovare nella categoria gramsciana di ‘blocco storico’ una possibile via d’uscita alla crisi attuale del modo di produzione capitalistico che non sia il lavoro sporco che la destra liberale e liberista lascia, in tutta Europa, alla sinistra di governo ma, al contrario, la ricerca di un punto ancora oggi possibile per la rivoluzione in occidente. Per non parlare del tentativo, quasi epico, di non cedere alla liquidazione modaiola del socialismo reale (possibile in quella situazione e a quelle condizioni) all’indomani della più grande sconfitta del movimento operaio e comunista internazionale: non ricorrendo però mai a una storia monumentale o antiquaria, ma ponendosi sempre l’obiettivo - laddove possibile - di attualizzare un patrimonio ricchissimo a favore di un tempo venturo.

S’intenda: riflessione ma anche (e soprattutto) organizzazione. Era ottobre del 1998 quando Contropiano pubblicava la notizia della nascita a settembre della Rete dei Comunisti come primo momento di sintesi e di convergenza fra esperienze diverse che avevano intrapreso un percorso comune già da qualche tempo. Una Lettera aperta ai comunisti, pubblicata di fianco al resoconto dell’incontro di Bologna del 13 settembre che segna l’avvio ufficiale della Rete dei Comunisti, sottolineava l’impegno dei comunisti italiani nel ricostruire un’ipotesi politica e strategica e il bivio che si trovano a fronteggiare. Un bivio che già allora attraversava l’aspro dibattito interno al Partito della Rifondazione Comunista. Acutamente, la crisi politica del gruppo dirigente di Rifondazione era ricondotta a un vizio d’origine che non poteva che condizionare significativamente la vita del partito: una giustapposizione di parti mai affrontate dialetticamente, dunque senza sintesi possibile e con un clima da congresso permanente e una segreteria che governava il partito imponendo la dittatura della maggioranza sulle minoranze. Il centralismo democratico appariva una raffinatezza quasi esotica. Quelle contraddizioni che la suddetta lettera aperta (scritta dalla nascente Rete dei Comunisti) ricordava - le acrobazie politiche e parlamentari che salvarono il governo Dini nel 1995, il patto di desistenza con l’Ulivo, l’ingresso in tutte le giunte locali di centro-sinistra a prescindere dai loro programmi, il voto parlamentare a sostegno del Patto di stabilità di Amsterdam e del governo di Maastricht – sono le stesse che nel tempo hanno portato ministri comunisti (!) a votare a favore delle bombe in Yugoslavia o dell’ultima guerra nell’ultimo governo Prodi. E che hanno determinato l’espulsione di qualsiasi riferimento al socialismo e al comunismo dal Parlamento italiano. Come diceva Brecht, allo stesso modo di come la cavia non impara la biologia dagli esperimenti l’uomo non impara dalla storia; e, infatti, i gruppi dirigente attuali di ciò che rimane del PRC e del PDCI ripresentano lo stesso schema di pensiero e d’azione ma su di un piano generale ancora più arretrato.

Ecco che, allora, ricostruire questa nostra storia può essere utile per superare la «rifondazione mancata che ha rinviato nel tempo e piegato alla tattica parlamentare, la rigorosa ri-costruzione teorica e politica di una strategia e di un partito comunista adeguati al conflitto e alla composizione di classe di questo fine secolo». Siamo adesso nel XXI secolo e di socialismo si sente un gran bisogno, soprattutto in questa fase di crisi anche egemonica del modo di produzione capitalistico. Ciò che oggi va ripreso e valorizzato sopra ogni cosa è l’intuizione - allora veramente controcorrente - della camicia di forza costituita dalla costruzione politica ed economica dell’Europa. Intuizione non frutto di un accidentale colpo di genio ma prodotto della paziente applicazione del metodo scientifico-marxista di comprensione della realtà.

Chi firmava la lettera aperta del ‘98 era dunque La Rete dei Comunisti, vale a dire l’Associazione Iniziativa Comunista dell’Emilia Romagna, l’Associazione “In movimento” per un progetto comunista di Milano, il Forum dei Comunisti, il Collettivo Comunista “Rosa Luxemburg” di Aversa/Napoli  e il Circolo Comunista di Torino, ma il nucleo fondante è stata l’organizzazione romana che sul piano sociale, politico e sindacale era rimasta coesa in concreto e culturalmente. Un punto di forza nell’analisi e nella prassi politica che aveva le sue radici in anni lontani, sin dall’inizio del 1994. La Rete dei Comunisti è, dunque, cresciuta dal punto di vista dell’organizzazione radicandosi sempre più sull’intero territorio nazionale e politicamente attraverso una graduale ma costante emersione che l’ha portata a essere, oggi, un soggetto politico pienamente coinvolto nelle dinamiche socio-politiche nazionali e non solo: dai rapporti storici con Cuba ai Paesi dell’Alba e, in Europa e nell’intero bacino mediterraneo, con tutte le organizzazioni politiche, sociali e sindacali che lottano ancora per il superamento del capitalismo. L’appartenenza al movimento di classe dei lavoratori si è espresso politicamente posizionandosi sempre in una prospettiva strategica e le tre Assemblee Nazionali l’hanno sancito: Marzo 2002 “Se non ora, quando? La necessità della alternativa sociale. Un contributo alla riflessione, una proposta ai comunisti”; Maggio 2007 “La storia non è in vendita! L’attualità dell’opzione comunista in Italia”; Aprile 2011 “Ben scavato vecchia talpa! Dalla crisi di civiltà del capitalismo una nuova opportunità per i comunisti”. Ricordare oggi che - un po’ in solitudine a sinistra - la RdC definiva Berlusconi una tigre di carta, invitando quindi a un agire politico che andasse oltre la sterile opposizione del centro-sinistra e affondasse l’analisi e la pratica sui nodi strutturali, può apparire (solo ai maliziosi) civetteria. Ma è al contrario utile per dar fiducia a un intero movimento di critica all’esistente che necessita di chiavi di lettura adeguate. La storia non è finita.

Commenti  

 
#3 Tony 2015-05-31 01:36
Quando finiranno TUTTI I COMUNISTI veri o presunti di litigare tra loro per chi è più comunista? NON BASTA LO STATO IN CUI VERSANO I COMUNISTI IN ITALIA? E NON BASTA LO STATO DELLE CLASSI PIU' DISAGIATE? DOBBIAMO CONTINUARE A LITIGARE MENTRE I VARI RENZI BERLUSCONI MONTI BCE FMI ECC. FANNO MACELLERIA SOCIALE? EBBASTA, CAZZO!!
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#2 Bacciardi 2013-12-29 10:46
Forse un riferimento al leninismo e alla terza internazionale (sempre con uno spirito marxiano) avrebbe meglio puntualizzato l'impianto ideologico. La rinuncia alla lotta ideologica significa perdere uno dei cardini fondamentali nella costruzione del partito comunista. L'impianto che date e' condivisibile ma puo' essere interpretato ecletticamente, malattia di questi ultimi tempi (vedi la fine che ha fatto rifondazione comunista. Prima tutti insieme e poi ognuno per i fatti propri.
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#1 Flavio 2013-12-12 10:46
Condivisibile in buona parte ciò che scrivete. Ma sembra di leggere tra le righe una specie di nostalgia per un percorso politico (quello del PCI e della III Internazionale dopo la metà degli anni '20) che già conteneva, in nuce, la degenerazione successiva. Sono gli Stalin e i Togliatti gli antesignani della distruzione del progetto comunista come progetto rivoluzionario e di liberazione! I Krushev, i Breznev, i Gorbaciov (come i Longo, i Berlinguer, gli Occhetto e i D'Alema) sono figli di quel "grande tradimento" portato a termine tra la metà degli anni '20 e la fine degli anni '30 (quella che possiamo chiamare la "controrivoluzi one stalinista"). Su questo mi piacerebbe ci fosse una vostra riflessione.
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