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Antifascismo e rottura, serve una nuova rappresentanza dei settori popolari

Quanto accaduto nel quartiere romano della Magliana – oltre al pesante ruolo repressivo svolto dalla polizia in aperta complicità con l’estrema destra – manifesta, al di là dell’episodio specifico, una frattura sociale che coinvolge ampi strati della popolazione.

La reazione di alcuni abitanti del quartiere contro gli attivisti del centro sociale - per quanto avvenuta in un contesto di tensione e drammatizzazione - segnala un vuoto culturale e politico ed una condizione di forte frammentazione identitaria e sociale che in simili condizioni apre la strada alle pulsioni violente, razziste e antisociali che i neofascisti si candidano a rappresentare.

Non è la prima volta che episodi di questo tipo si materializzano in una metropoli sia italiana che europea e non è la prima volta che “segmenti di popolo” diventano, più o meno inconsapevolmente, strumento pratico dell’ideologia del capitale e delle necessità di normalizzazione da parte di chi detiene il potere.

Anche i recenti pogrom razzisti consumatisi a Capalbio prima e poi a Gorino, pur in un contesto fortemente differente, erano stati la spia di un malessere sociale trasversale che cova nelle viscere della società e che coinvolge significativi settori popolari esposti al rovinoso corso della crisi.

Tutto ciò avviene – come da tempo andiamo sostenendo – in un inedito contesto di “vuoto di rappresentanza” determinatosi a seguito non solo dei giganteschi processi di ristrutturazione capitalistica, ma anche in conseguenza della catastrofe politica della “sinistra” e del dissolvimento di quel complesso di strutture e strumenti i quali, a vario titolo, erano innervati nella composizione di classe e che svolgevano una positiva funzione di orientamento e di mobilitazione progressista.

E’ evidente che in uno scenario di questo tipo i processi di desolidarizzazione sono, naturalmente, destinati a lievitare a fronte dei colpi della crisi mentre la rabbia indistinta ed il razzismo diventano il coagulo ed il collettore unico dei soggetti sociali subalterni.

Del resto la fortuna e l’exploit politico di molte formazioni/movimenti politici (sia quelle dichiaratamente di destra o alcune cosiddette post/ideologiche) è avvenuto, in Italia come altrove, quando queste forme della politica sono riuscite ad intercettare e dialogare con queste espressioni del malessere sociale spesso definite, dispregiativamente, come “populiste” da ciò che residua del ceto politico della “sinistra”.

Il pasticciaccio di Magliana, pur da inquadrare in un contesto in cui regnano la disgregazione sociale e l’aumento della contrapposizione tra segmenti deboli delle popolazioni metropolitane, ci stimola, non formalisticamente ma come soggettività politica militante, ad andare più a fondo nell’analisi e nell’inchiesta di classe per essere in grado di leggere la situazione e trovare le forme politiche per intervenirvi efficacemente.

Pur in presenza di tali guasti e di queste autentiche ferite nel corpo sociale la partita del conflitto, per una soggettività politica non addomesticata negli interstizi della governance, è ancora aperta anche se chiama i comunisti e le forze antagonistiche ad una inedita sfida di qualità.

In particolare l’addensarsi di problemi e questioni di vario tipo (prime fra tutte quelle inerenti la svalorizzazione della forza/lavoro attraverso la generalizzazione della precarietà  in aree metropolitane dove queste emergenze diventano un dato strutturale) saranno foriere di contraddizioni, di tensioni e di nuove lacerazioni sociali. Andranno messe in conto le esplosioni di forme spurie e bastarde di conflittualità che scuoteranno le aree metropolitane causando rotture convulse e, spesso, apparentemente irrazionali.

E’ sarà su questo campo di gioco – le decisive aree metropolitane – ed i nuovi poli di sviluppo/sottosviluppo che si squaderna il tema e la battaglia politica, anche sul versante culturale, per una rappresentanza indipendente oltrepassando consumate suggestioni verso nuovi e vecchie riedizioni di un riformismo (di ogni tipo) oramai non più rieditabile.

In tale contesto, come Rete dei Comunisti, siamo parte di esperienze sociali e mobilitazioni popolari che a Roma, ma anche in altre città, si stanno cimentando, anche attraverso sperimentazioni organizzative, con questo difficile e complesso compito pratico.

La via che intendiamo seguire è quella già intrapresa con le due giornate di mobilitazione nazionale del 21 e 22 ottobre, che sappia unire le vertenzialità e le rivendicazioni del mondo del lavoro e dei territori all’interno di un conflitto generale di tipo politico che indichi la via dell’inimicizia e della rottura nei confronti dell’Unione Europea e dei poteri forti che ne sostengono il progetto, cioè dei principali responsabili di una torsione istituzionale sempre più autoritaria e di una feroce cancellazione dei diritti e delle garanzie che hanno bene o male contraddistinto decenni di vita politica nell’Europa occidentale.

Anche l’antifascismo non può che collocarsi in questa scia, a partire dalla necessità di contrastare, anche fisicamente, le infiltrazioni fasciste e razziste nei quartieri e nei territori. Ma nella consapevolezza che la sfida nei confronti dei tentativi egemonici dell’estrema destra – tuttaltro che contrastata dalle forze europeiste, che in genere tendono a strumentalizzarli per autolegittimarsi – non può che essere di tipo politico, a partire dalla ricerca dell'insediamento sociale e dall’indicazione di una piattaforma generale in grado di ridare identità e rappresentanza a settori popolari che altrimenti saranno facile preda delle forze reazionarie.

 

Rete dei Comunisti

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