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La guerra, gli imperialismi e il “nemico principale”: una risposta a Manlio Dinucci

Il compagno Manlio Dinucci, da tanti anni attento e apprezzato osservatore dell’evoluzione – anzi dell’involuzione – della tendenza guerrafondaia degli Stati Uniti e del crescente meccanismo della militarizzazione dei territori, ha diffuso un suo intervento a proposito di temi che ci stanno molto a cuore: la guerra, l’imperialismo, lo scontro tra potenze. Un intervento che, dopo una prima parte condivisibile a proposito dell’evoluzione del Patto Atlantico e delle politiche militariste di Washington, giunge a conclusioni che non condividiamo.

Perché l’analisi sul quadro internazionale che sta alla base della riflessione di Dinucci è sostanzialmente datata e largamente superata dagli eventi, che hanno conosciuto negli ultimi anni una rapida e repentina accelerazione in fatto di emersione di nuove potente a vocazione internazionale e di poli multinazionali alla ricerca di una migliore condizione politica, economica e anche militare al fine di sostenere una competizione globale sempre più brutale e feroce, come dimostra la recrudescenza dei conflitti bellici in tutto il globo ed in particolare ne “l’anello di fuoco” che dal Nord e dal Centro Africa arriva fino al Pakistan e all’Afghanistan passando per il Medio Oriente in fiamme.

Sul ruolo nefasto degli Stati Uniti e della Nato non vi sono dubbi; sull’emergere di un secondo corno all’interno del Patto Atlantico, invece, ci sarebbero molte cose da dire, a partire dal fatto che la supremazia di Washington è continuamente messa in discussione da parte di quelle che Dinucci chiama ‘potenze europee’, a partire dal no europeo agli Stati Uniti quando questi nel 2008 invocarono il sostegno dell’Alleanza Atlantica alla Georgia da loro spinta irresponsabilmente in guerra contro la Russia. Da allora il processo di costituzione di un complesso militare-industriale e tecnologico europeo indipendente e alternativo rispetto a quello statunitense ha fatto passi da gigante, mentre nonostante i conflitti e la competizione interna nell’Ue è in discussione in questi mesi la costituzione di una Guardia di Frontiera e di una Guardia Costiera continentali, oltre che di un’agenzia di intelligence comune, mentre gli attacchi di Parigi e la situazione in Medio Oriente hanno fornito all’euroburocrazia la giustificazione per rilanciare e accelerare il già deciso processo di costituzione di un esercito europeo. Questo mentre le truppe tedesche e di altri paesi si affiancano a quelle francesi in numerosi paesi africani e intervengono anche nello scenario mediorientale, obbligando gli Stati Uniti a rincorrere o a contrastare un’iniziativa militare europea – si veda lo scenario libico – dove l’Ue pensa di poter e dover intervenire per preservare o estendere i propri interessi.

Di fronte all’emergere di chiare aspirazioni egemoniche da parte dell’Unione Europea nel proprio ‘cortile di casa’ e oltre, gli Stati Uniti hanno scelto la via ad essi più congeniale: quella della destabilizzazione e della guerra. Non solo per indebolire i propri avversari diretti – la Russia e la Cina, in primo luogo – ma anche e soprattutto per tarpare le ali ai sogni di gloria di Bruxelles. E’ evidente che il sostegno al colpo di stato sciovinista in Ucraina e la conseguente imposizione di sanzioni di vario tipo alla Russia mirava non solo a colpire gli interessi di Mosca, ma anche a ristabilire una traballante supremazia militare statunitense in Europa e ad indebolire l’indipendenza energetica e l’economia continentale, proponendo Washington come ‘salvatrice’ e protettrice dei paesi europei “minacciati” dalla Russia. Una condizione che l’Unione Europea ha accettato sottovalutando probabilmente le conseguenze dell’intervento a Kiev e che da qualche tempo sta cercando di contrastare, accelerando processi di integrazione economica, politica, giuridica e militare già decisi ma in alcuni casi in ritardo a causa della contraddittorietà di uno spazio politico che tende alla costituzione di un polo imperialista sovranazionale senza però essere ancora uno stato unitario.

Sottovalutare la vigenza – e la estrema pericolosità – del processo di integrazione e di gerarchizzazione europea è un grave errore analitico che può condurre a prendere posizioni non all’altezza di una situazione che, rispetto anche solo a dieci anni fa, è estremamente diversa e in continuo movimento. D’altronde in varie occasioni, negli ultimi anni, abbiamo visto rimuovere da parte di importanti settori della sinistra radicale e anche comunista “ortodossa” il tema dell’imperialismo europeo, in nome di punti di vista datati e spesso ispirati da suggestioni e dogmatismi piuttosto che dall’analisi concreta della soluzione concreta (un esempio per tutti la fugace rappresentazione negriana de “l’impero” che i fatti si sono incaricati di smentire). Fu così per la nascita e l’affermazione dell’Euro – una moneta di rilevanza mondiale che ruppe il signoraggio internazionale del dollaro e manifestò sul piano economico-finanziario le aspirazioni della borghesia europea - e la sottovalutazione è continuata negli anni nonostante che il progetto imperialista europeo abbia preso corpo con trattati vincolanti, con l’imposizione del ‘pilota automatico’ a numerosi paesi della periferia europea da parte del meccanismo di integrazione gerarchica continentale, della costruzione di una governance centralizzata basata sull’aumento dei poteri della Commissione Europea e sull’uso indiscriminato e punitivo della Troika nei confronti dei paesi che ‘sgarrano’ rispetto ai diktat di Bruxelles e Francoforte.

Il refrain sulla “inconsistenza dell’Unione Europea” – esistente tutt’al più sul fronte delle banche e della finanza ma non su quello politico e men che meno militare – dovrebbe fare i conti con la presa d’atto che i soggetti in campo nel mondo occidentale sono ormai più di uno, e che quello europeo assume caratteristiche sempre più antidemocratiche, militariste e autoritarie per meglio attrezzarsi ad una competizione con gli altri attori dello scontro globale che Washington, sempre più debole dal punto di vista economico e politico, cerca di portare sul piano militare per sfruttare la sua supremazia in quel campo.

Anche per quanto riguarda lo scenario mediorientale, continuare a descrivere la Turchia, le petromonarchie e la stessa Israele come mere pedine di Washington, vuol dire non fare i conti con le enormi trasformazioni che il ‘mondo multipolare’ ha impresso alla mappa geopolitica globale. Non riconoscere che le aspirazioni di Ankara, di Riad e di Tel Aviv – non a caso tra loro alleate, seppur non ufficialmente – sono sempre più indipendenti ed in contrasto rispetto agli interessi degli Stati Uniti vuol dire non comprendere cosa sta accadendo in questi mesi in Siria ed in Iraq, dove un ‘polo sunnita’ composito e certamente contraddittorio contende comunque agli Stati Uniti – e all’Unione Europea – oltre che all’asse sciita e alla Russia un controllo regionale che potrebbe fare da volano all’affermazione di un nuovo blocco con ambizioni economiche, politiche e militari globali.

E’ per questo motivo che gli appelli al quale, pur senza citarli, si riferisce l’intervento di Dinucci – quelli lanciati dalla piattaforma Eurostop e che sono stati alla base delle mobilitazioni contro la guerra e gli imperialismi del 16 gennaio – si schieravano nettamente non solo contro la Nato in quanto meccanismo guerrafondaio dominato dagli Stati Uniti, ma anche esplicitamente contro l’Euro – meccanismo di guerra economica nei confronti dei popoli e delle classi lavoratrici continentali – e contro le politiche e le aspirazioni imperialiste dell’Unione Europea. Alcune realtà della sinistra radicale, anche comunista, non hanno condiviso quegli appelli soffrendo, come esplicita Dinucci nella sua presa di posizione, l’accostamento tra responsabilità statunitensi ed europee, in nome della lotta contro il cosiddetto ‘nemico principale’.

Che gli Usa rimangano il nemico principale per l’umanità in questo frangente non è un assunto che qualcuno possa mettere in discussione: d’altronde più la superpotenza statunitense si sentirà indebolita e isolata, contestata e messa in discussione, più ricorrerà alle provocazioni, alla guerra e alle destabilizzazioni per cercare di contrastare competitori e  nemici. Ma sottovalutare l’esistenza di un altro grande nemico per i popoli e le classi lavoratrici del mondo, l’Unione Europea, vuol dire disarmare e disorientare il movimento per la pace e per la giustizia sociale eliminando dalla mappa uno degli attori della tendenza alla guerra, e rischiare di far percepire ai soggetti sociali e politici in campo la possibilità che la crescente potenza europea – alternativa ma speculare a quella statunitense – possa addirittura rappresentare un possibile alleato nella lotta contro il nemico principale.

Come comunisti, antimperialisti e internazionalisti che vivono ed operano in Europa, il nostro compito non può che essere quello di denunciare le responsabilità e i crimini commessi dal ‘nostro’ imperialismo; il che non vuol dire abbandonare la lotta contro quello statunitense o contro i sempre più numerosi atti guerrafondai delle petromonarchie o di Israele. Ma non può neanche voler dire che per combattere il “nemico principale” i movimenti contro la guerra e i comunisti in particolare debbano fare “fronte comune” con coloro che massacrano le classi lavoratrici dei paesi europei in nome dell’esigenza di meglio competere con i loro avversari sullo scacchiere globale.

Se i comunisti non saranno in grado di tenere la propria analisi e la propria proposta al passo con i rapidi mutamenti che il contesto internazionale impone in un’epoca di feroce competizione interimperialistica, rischiano di diventare ininfluenti, soggetti passivi e residuali, venendo meno alla propria funzione storica di rottura e trasformazione radicale.

Suggeriamo anche la lettura di: L’Unione Europea tra crisi e contrattazione: scatto in avanti o arretramento?

 

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Di seguito l'articolo al quale facciamo riferimento

Qual è il nemico principale contro cui fare fronte comune?

di Manlio Dinucci

Subito dopo la fine della guerra fredda, in seguito allo scioglimento del Patto di Varsavia e alla disgregazione dell’Urss, Washington lanciava ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana». Sottolineava allo stesso tempo la «fondamentale importanza di preservare la Nato quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa.

Oggi 22 dei 28 paesi della Ue, con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno parte della Nato, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». Sempre sotto comando Usa: il Comandante supremo alleato in Europa è nominato dal Presidente degli Stati uniti e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave della Nato. Non si può dunque pensare di liberarci dai poteri rappresentati dalla Ue senza liberarci dal dominio e dall’influenza che gli Usa esercitano sull’Europa direttamente e tramite la Nato. Obiettivo fondamentale, sul piano nazionale, è costruire un forte movimento per l’uscita dell’Italia dalla Nato, per un’Italia indipendente e sovrana, per una politica estera basata sull’Articolo 11 della Costituzione.

La Nato sotto comando Usa ha inglobato tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre della ex Jugoslavia (demolita dalla Nato con la guerra), tre della ex Urss, e tra poco ne ingloberà altri (a partire da Georgia e Ucraina, questa di fatto già nella Nato), spostando basi e forze, anche nucleari, sempre più a ridosso della Russia.

Accusando la Russia di «destabilizzare l’ordine della sicurezza europea», Usa e Nato hanno riaperto il fronte orientale, trascinando l’Europa in una nuova guerra fredda, voluta soprattutto da Washington per spezzare i rapporti Russia-Ue dannosi per gli interessi statunitensi. E l’avanzata Usa/Nato ad Est già coinvolge la regione Asia/Pacifico, mirando alla Cina. È il tentativo estremo degli Stati uniti e delle altre potenze occidentali di mantenere la supremazia economica, politica e militare, in un mondo in forte trasformazione, in cui emergono nuovi soggetti statuali e sociali.

Allo stesso tempo Usa e Nato preparano altre operazioni sul fronte meridionale, strettamente connesso a quello orientale. L’imminente operazione in Libia «a guida italiana» è stata concordata dagli Stati uniti non con l’Unione europea, inesistente su questo piano come soggetto unitario, ma singolarmente con le potenze europee dominanti, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania. Potenze che, in concorrenza tra loro e con gli Usa, si uniscono quando entrano in gioco gli interessi fondamentali.

Si prepara così un’altra guerra nel quadro della strategia Usa/Nato, dopo Iraq 1991, Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria dal 2013, accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla stessa strategia, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra fredda contro la Russia.

Da questi fatti dovrebbe essere chiaro qual è il nemico principale contro cui fare fronte comune.

È una questione dirimente a tutti i livelli, soprattutto nel processo di costruzione di un partito comunista. I comunisti dovrebbero porsi alla testa di un vasto fronte contro l’imperialismo Usa e i suoi alleati e non aderire, in modo confuso e in ordine sparso, a movimenti che tendono a mettere tutti sullo stesso piano di responsabilità, relegando in secondo piano gli Usa e la Nato.

Ritengo fuorviante a tutti i livelli proclamare una mobilitazione contro la guerra non nominando mai gli Stati uniti, facendoli così sparire dallo scenario mondiale. In tal modo la Nato diventa una entità vaga e, con la formula «UE-Nato» viene fatta apparire come subordinata alla UE, quando è vero il contrario. Tale impostazione è particolarmente grave in Italia che, imprigionata nella rete di basi Usa e di basi Nato sempre sotto comando Usa, è stata trasformata in ponte di lancio delle guerre Usa/Nato sui fronti orientale e meridionale. In tale quadro l’Italia, violando il Trattato di non-proliferazione, viene usata come base avanzata delle forze nucleari statunitensi in Europa, che stanno per essere potenziate con lo schieramento delle bombe B61-12 per il first strike nucleare.

A questo punto, anche nell’Associazione per la ricostruzione del partito comunista, ciascuno si assuma le sue responsabilità, dichiarando e dimostrando con i fatti da che parte sta.

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