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L’8 dicembre a Torino: per fermare il TAV e la riorganizzazione dell’estabilishment

L’importanza della lotta NoTav è innegabile da quando questo movimento è nato, ha alle spalle 30 anni di mobilitazione per nulla scontata se si considera la repressione a cui è stato sottoposto. La Val di Susa è laboratorio di sperimentazione per ogni politica repressiva e un motivo c’è, è presente un movimento che non si arresta di fronte a nulla composto dalle persone che vivono in quella valle e la proteggono contro la devastazione. In questo momento la coerenza con cui questo prezioso agglomerato di interessi popolari è stato difeso l’ha portato ad assumere una valenza politica generale, in quanto s’interseca con questioni che vanno oltre l’infrastruttura in sé: è sempre più chiaro come il Tav sia utile solo per una parte della società e, in tempi di vacche magre e di sedie traballanti sulla giostra del potere, intorno a quest’opera si è composto un vero e proprio fronte di classe a cui sarà necessario opporsi l’8 dicembre in piazza, giorno della manifestazione NoTav a Torino.

Per inquadrare la questione in quest’ottica è necessario partire da un’altra piazza, quella SiTav del 10 Novembre. Due sono gli elementi da considerare, uno è relativo alla composizione e l’altro alle ragioni che hanno portato quei soggetti così raggruppati a manifestare.

La manifestazione è stata descritta come apartitica e nata spontaneamente dal “tam tam” sui social ma numerose sono state le organizzazioni e i partiti che, senza portare simboli in piazza, hanno ufficialmente aderito. Confindustria, Camera di commercio di Torino, Federmeccanica ma anche gli edili piemontesi di CGIL, CISL e UIL insieme ai partiti: dalla Lega al PD passando per Forza Nuova, Forza Italia, Fratelli d’Italia e alcune associazioni riconducibili a Casapound, sembrerebbe sia coinvolta pure la Ndrangheta[1]. Al di là dei nomi in quella manifestazione c’erano gli imprenditori, ovvero la base materiale che detiene il capitale e che in un paese che perde sempre più pezzi della propria capacità manifatturiera ha la necessità di valorizzarlo attraverso la costruzione delle grandi opere. A loro supporto si è raccolto anche quello strato politico e sociale che rappresenta questi interessi ovvero tutte le forze europeiste (la bandiera dell’Unione Europea era ben visibile) insieme alle stampelle di destra e di sinistra (neofascisti e sindacati concertativi).

Nel momento in cui la classe dominante è egemone nelle istituzioni non ha alcuna necessità di fare appello alla mobilitazione di massa, ma in questo caso è dovuta ricorrere a questo strumento perché a livello locale si è resa conto di rischiare di perdere il treno europeo. Questa necessità è l’epifenomeno di una crisi economica che ha fortemente indebolito la borghesia locale e che ora sta cercando di riconquistare il suo ruolo nelle dinamiche italiane ed europee utilizzando l’arma della politica, non potendo più puntare sulla forza economica. Seppur in difficoltà coglie un momento d’oro per fare la sua mossa facendosi capofila dell’opposizione a questo governo, portatrice dei valori europei e motrice dello sviluppo dell’intero paese. S’inserisce nelle contraddizioni del governo e mette in un angolo il Movimento 5 Stelle.

Questo è ancora più chiaro se dalla piazza del 10 novembre si passa per la kermesse organizzata sempre a Torino negli spazi delle OGR il 3 dicembre. Da questa kermesse restano fuori tutti gli orpelli inutili, ideologici e propagandistici come le “madamin” e i sindacati concertativi. La visione di Confindustria è chiarissiama: è stato il presidente Boccia stesso a evidenziare che le organizzazioni lì riunite rappresentavano il 65% del PIL del paese, ricordando che “se siamo qui significa che siamo a un punto quasi limite di pazienza, per mettere insieme 12 associazioni tra cui alcune in concorrenza tra di loro. Se siamo qui tra artigiani, commercianti, cooperative, industriali, qualcuno si dovrebbe chiedere perché” e ancora “La politica è una cosa troppo importante per lasciarla solo ai politici. Noi stiamo facendo proposte di politica economica per evitare danni al Paese”. [2] E’ quindi col fiato corto e con una visione di corto raggio che l’imprenditoria italiana prova a rimettersi in carreggiata. Tant’è vero che alle OGR su un tema ampio e strategico come quello della formazione sempre il capo di Confindustria ha dichiarato: “dobbiamo formare giovani con capacità imprenditoriale 4.0, ma non basta. Serve formare imprenditori: meno imprese nascono meno sviluppo si crea” mentre la richiesta di mantenere intatto - rispetto alla Buona Scuola di Renzi - l’istituto dell’alternanza scuola-lavoro è unanime, già qualche giorno fa Federmeccanica ha lanciato una raccolta firme su questo.

Due piazze, quella del 10 novembre e quella dell’8 dicembre, esattamente agli opposti, che vedono però il governo non compatto: nella prima ne abbiamo ritrovato due terzi (Lega e professori ispirati dalla Commissione Europea), mentre i 5 Stelle si barcamenano nelle loro ambiguità cercando di marcare la presenza nella seconda: la sindaca Appendino gioca la sua partita cercando di destreggiarsi su più campi, da un lato autorizzando gli amministratori della città ad utilizzare la fascia tricolore durante la manifestazione NoTav dell’8, e dall’altro cercando di coprirsi le spalle insistendo sull’analisi costi/benefici dell’opera.

Questa linea di faglia interna al governo è stata coscienziosamente determinata, ha avuto un forte risalto mediatico ed ha colto una tempistica perfetta: l’esecutivo deve decidere cosa fare da grande già prima di Natale altrimenti può andare a casa.

Il TAV ovviamente è il pretesto che permette alla borghesia locale di ricollegarsi al treno europeo, ma più in generale ha in sé tutti nodi di una questione centrale per il modello di sviluppo, quella delle infrastrutture e delle grandi opere come volano della crescita del paese, eppure il drammatico crollo del ponte di Genova e il tema delle nazionalizzazioni non sembrano più essere all’ordine del giorno. Cosi tra le grandi opere come non è compresa la manutenzione dei territori e delle infrastrutture esistenti così non sono contemplate una sanità pubblica e gratuita e un’istruzione degna di questo nome.

L’Unione Europea in queste settimane non ha tardato ad intervenire nella vicenda e ha chiarito che, proprio mentre impone che il governo tenga il rapporto deficit-PIL basso, i soldi per fare ciò che è utile al polo imperialista europeo non mancano[3]: abbatte la quota residua che l’Italia deve ancora versare per la costruzione del TAV da 1.2 miliardi a 366 milioni, mentre per il bilancio 2021-2027 si è impegnata con un voto del parlamento europeo del 22 novembre a finanziare i lavori per le grandi infrastrutture transfrontaliere del 50% invece che del 40% come in passato. 

Gli interessi che stanno dietro la TAV sono chiari e non ci dilunghiamo su quanto sia inutile e dannosa per la popolazione locale, la letteratura è infinita ormai.

Ciò che bisogna prendere ulteriormente in considerazione oggi sono le contraddizioni che questo modello di sviluppo genera, e su cui le diverse e non sempre conciliabili aspirazioni che hanno portato la Lega e i Cinque Stelle al governo oggi possono entrare in un cortocircuito che solo la mobilitazione popolare può innescare, prima che siano le forze dell’establishment a normalizzare la situazione dall’alto.

 

Torino,

5/12/2018



[1]https://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/19/ndrangheta-lintercettazione-guarda-che-sto-facendo-un-movimento-si-tav/2918814/

[2]https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-12-03/tav-infrastrutture-crescita-partito-pil-campo-torino--104006.shtml?uuid=AEmRxlrG

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