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Una scienza per (quale?) transizione

Intervento di Angelo Baracca* al secondo convegno su “Crisi e alternative”, Pisa, Sabato 13 Giugno 2009 organizzato dall'associazione "Politica e Classe"

Di seguito alcuni stralci, non esaustivi, dell'intervento che rivelano l'attualità e la lungimiranza dell'analisi. Il testo integrale dell'intervento è in allegato.

 I tempi del collasso ambientale sono più brevi di quelli di qualsiasi transizione sociale

[...] Mi trovo quindi nella necessità di enunciare in termini molto netti, come premessa, una convinzione che vado maturando da un certo tempo, e che mi sembra fondamentale per il nostro confronto: la prospettiva di un collasso ambientale e della scarsità (e “degradazione”, che non è un problema da meno) delle risorse mi sembra più incombente, drammaticamente urgente ed attuale, rispetto a quello della transizione al socialismo (in allarmante sinergia con il carattere sempre più letale e distruttivo delle guerre). Detto con altre parole: la mia preoccupazione maggiore ed urgente è che – se non interverranno cambiamenti veramente radicali – non ci sarà il tempo! [...]

[...]Personalmente, ritengo di avere impostato l’analisi della scienza e della tecnica (fin dagli anni ’70), nonché della crisi ambientale, rifacendomi al metodo del materialismo storico (che ritengo da sempre la vera essenza del metodo di Marx), proponendo un’attualizzazione delle categorie marxiane, e della stessa contraddizione capitale-lavoro-natura, ad una situazione che è molto diversa rispetto ai tempi di Marx (Baracca-2008). [...]

Non semplifichiamo troppo la realtà e i problemi? [...]. La maggior parte dei contributi teorici a questo convegno si sono concentrati sul rapporto capitalistico di lavoro, di sfruttamento e di estrazione della plusvalenza, con la finalità di individuare, a partire da esso, indicazioni ai fini della transizione. Ma ha senso oggi restringersi a questo ambito?

[...] Mi chiedo ad esempio – e non so dare una risposta – se non vi siano forse oggi in situazioni mondiali importanti, accanto a forme di rapporto capitalistico avanzato, un ritorno o uno sviluppo di altre forme di sfruttamento, di tipo quasi medioevale, schiavistico (anche se non credo si possano utilizzare categorie del passato, se non come analogie).
Ma vi sono molti altri aspetti che mi inducono a dubitare della possibilità di incentrare ancora un progetto antagonistico sul rapporto di lavoro tradizionale. Ritengo che nel futuro non lontano i flussi migratori raggiungeranno dimensioni bibliche: chi saprà tradurre l’emarginazione, polverizzata a clandestina anche sul territorio, di queste grandi masse in forza organizzata, di rottura, antagonista? Chi potrà governare metropoli mostruose, con fasce di emarginazione fuori controllo? Temo che non abbiamo la più pallida idea degli sviluppi ed esiti futuri, altro che governare le trasformazioni!

D’altra parte, noi tutti guardiamo con grande interesse e grandi speranze all’America Latina, come sede delle manifestazioni più radicali ed efficaci di antagonismo al neoliberismo. Ma in Bolivia, in Ecuador, in Amazzonia non siamo certo ai livelli più avanzati di sviluppo capitalistico: il rapporto di sfruttamento non è quello della fabbrica moderna. Ma non solo. Le contestazioni più incisive e radicali vengono da parte delle popolazioni indigene, legate alla terra e non alla fabbrica, le quali rivendicano la validità dei propri modelli ancestrali, precapitalistici, stroncati e violentati dalla conquista, poi dalle successive trasformazioni coloniali e neoliberiste. Vengono riproposte – e ritengo con molta efficacia e ragione – conoscenze, valori, pratiche primitivi in contrapposizione alla ragione scientifica moderna: fondati sul rispetto e l’equilibrio con la natura e la terra (lapachamama dei popoli indigeni), anziché sul rapporto di sfruttamento che i ritrovati scientifici approfondiscono (in particolare proprio lo sfruttamento di quelle conoscenze, pretendendo di coprirle con brevetti).

[...] E che cosa pensiamo di proporre, in base alle categorie qui analizzate, per l’Africa? Oggi sono tramontate anche le prospettive di modernizzazione e socializzazione che sembravano aperte dai processi postbellici di decolonizzazione, con progetti di ispirazione socialista barbaramente sradicati dalle grandi potenze), con il movimento dei paesi non allineati. Pensiamo oggi di riproporre loro le analisi e le ricette elaborate per il proletariato industriale dei paesi industrializzati? O dire loro che aspettino la liberazione del proletariato industriale perché liberi anche loro? Quando invece si danno situazioni di contrapposizione e concorrenza dei lavoratori dei paesi avanzati contro i processi di decentramento delle produzioni in quei paesi (non, si badi, contro quello sfruttamento selvaggio, ma in difesa dei propri posti di lavoro), per i quali il concetto leninista di “aristocrazia operaia” mi sembra oggi assolutamente insufficiente (anche se nessuno lo ha ripreso, criticato o rielaborato). Forse che i lavoratori dell’Agip, Eni o di altre multinazionali del petrolio hanno mai alzato la voce contro lo sfruttamento selvaggio delle risorse dei paesi produttori e l’impoverimento delle loro popolazioni, contro cui (nel bene e nel male, comunque soli) combattono movimenti come il Mend? E le “sinistre” e i sindacati dei paesi avanzati hanno mai detto o fatto nulla? I flussi migratori a cui accennavo, quelli attuali e quelli “biblici” futuri, sono direttamente legati proprio a questo problema, al quale non sappiamo dare risposte concrete e praticabili. Se non riusciamo a collegare tra loro questi problemi, a dare qualche risposta credibile per l’Africa, pensiamo di potere davvero parlare di transizione nei nostri paesi?

Non sostanzialmente diverso mi sembra il problema che riguarda la frontiera tra Stati Uniti e Messico (con tutte le differenze rispetto all’Africa, e le specificità degli imperi delle mafie della droga tra Usa e Centro America).[...]

Spero che molti abbiano letto l’ultimo articolo di Oscar Marchisio del 31 luglio (“Se la Cina viaggiasse come noi”, il manifesto, 31.07.2009), subito prima della sua prematura scomparsa, inquietante e provocatorio, ma con una logica stringente.[...] Marchisio non si ferma all’analisi astratta, ma ha il coraggio di proporre una strada, anche se personalmente non concordo pienamente, come riprenderò alla fine: «... l'asse auto-petrolio con l'entrata in gioco della Cina, dell'India e di tutti gli stati in via di sviluppo entra in rotta di collisione con le risorse energetiche del pianeta. Si pone quindi con disastrosa razionalità la questione che da qualche parte del pianeta si inizi a ri-pensare il rapporto mobilità-libertà, mobilità-auto.» [...]

Io mantengo riserve nei confronti dell’«ambientalismo» puro, ma dove sono gli operai, i sindacati, qualche sinistra, che avanzino proposte concrete e praticabili di superamento del sistema dell’automobile? (Marchisio li accusa di «vivere tranquilla come sempre la subalternità del modello auto-petrolio, come regola del globo»).

Strumenti nuovi per una realtà nuova e più complessa

Il metodo storico materialistico richiede di partire da un’analisi della realtà concreta, nelle sue condizioni materiali e nella sua genesi storica, per elaborare a partire da questa categorie adeguate. La mia opinione, assolutamente personale è che qui si siano ripresi in considerazione categorie e concetti marxiani, giustapponendo ad essi nel migliore dei casi considerazioni sul versante dei problemi ambientali, senza una reale saldatura, ed anche senza confrontarsi concretamente con quello che vi è di nuovo, e più complesso.

Su un punto di fondo comunque concordo pienamente con tutti gli altri relatori: ritengo un ottimo punto di partenza il riconoscimento del carattere di classe delle forze produttive. Ho già articolato in dettaglio nella precedente relazione (Baracca-2008) i motivi, e i meccanismi concreti, per cui la scienza e la tecnica non sono “buone” per tutti gli usi, incorporano un marchio di classe, la logica di sfruttamento, dell’uomo e della natura, ideologicamente mascherata come logica di conoscenza.[...]

La produzione di scienza si è andata separando, formalmente e sostanzialmente, dal processo lavorativo materiale. Dopo la Prima Rivoluzione Industriale si è consolidata una “corporazione” (chiamata di solito la “comunità scientifica”), che si è costituita come una casta legata al potere, la quale filtra con altre modalità la domanda, le esigenze, la logica del capitale: le filtra, le formalizza (espropriandone dal controllo la classe lavoratrice, ed anche tutta la popolazione), e le incorpora nella tecnologia e nella produzione (oltre che nella società, la quale di solito ne dipende senza assumerne una consapevolezza). Nella mia precedente relazione (Baracca-2008) ho analizzato come questa corporazione scientifica abbia sussunto e trasferito nei ritrovati scientifici e tecnologici la logica di sfruttamento del modo di produzione capitalistico. Mi sembra comunque che se non si tiene in debito conto il processo specifico – storicamente determinato – di produzione di scienza, si rischino gravi semplificazioni e cortocircuiti. Quanto alle forme di conoscenza operaia, esse hanno a che vedere a mio parere con la capacità dei lavoratori di riconoscersi, organizzarsi e agire come classe, acquisendo un controllo alternativo del ciclo produttivo.[...]

Digressione-esemplificazione sull’energia nucleare

I processi nucleari giocano solo un ruolo assolutamente marginale sulla Terra, limitato sostanzialmente al fondo naturale di radioattività (che non è affatto trascurabile per la salute umana, come dimostra il problema del radon nei materiali da costruzione, che è monitorato da programmi nazionali), mentre giocano ovviamente un ruolo fondamentale nell’universo, essendo alla base del funzionamento delle stelle. É lo scienziato “apprendista stregone”, con la sicumera che lo contraddistingue, che ha attivato artificialmente i processi nucleari. Il punto è che, per le loro caratteristiche, i processi naturali sulla Terra non sono in grado di inglobare, di “metabolizzare” o riciclare i processi nucleari: il problema è infinitamente più complesso di qualsiasi diabolico inquinante chimico! Il nucleo – e qui risiede l’essenza delle sue applicazioni energetiche – racchiude energie che sono milioni di volte superiori a quelle coinvolte nei processi chimici. [...]

I processi nucleari attivati dall’uomo sulla Terra sono incompatibili con la natura: che infatti li aveva tenuti lontani miliardi di chilometri![...]

[...] Il mio parere è che gli usi energetici dei processi nucleari hanno già provocato abbastanza anni, irreparabili ed irreversibili, e che è venuto il momento di chiuderli definitivamente! [...]

Sfruttamento capitalistico dell’uomo e della natura

[...] vi è un legame profondo e indissolubile tra sfruttamento dell’uomo e sfruttamento della natura, due facce di uno stesso problema. Una vera transizione, se si darà, dovrà rovesciare, liberare entrambi i rapporti di sfruttamento: La mia opinione, come dicevo nella premessa, è che forse, nelle condizioni odierne dovrà partire – se ci sarà tempo – dal recupero di un corretto rapporto con la natura, come pre-condizione anche per la liberazione dell’uomo. Se ci sarà tempo!
Vi è un aspetto della crisi attuale – del crescente imbarbarimento che comporta, delle nuove tecnologie, dell’ubriacatura tecnologica che trasuda da ogni messaggio indirizzato all’opinione pubblica (pur venendo sistematicamente contraddetta nei fatti, che dimostrano che il solo fine è lo sfruttamento di qualsiasi residuo margine di profitto: la vera esasperazione tecnologica c’è nello sfrenato sviluppo di nuove armi) – il quale, oltre a rispecchiare perfettamente il marchio di classe delle forze produttive, lega in modo diretto lo sfruttamento brutale della forza lavoro con il problema delle risorse e dell’ambiente, dell’intrinseca non-sostenibilità del capitalismo. Le nuove tecnologie e i nuovi indirizzi tecnico scientifici hanno finalità sempre più distruttive. Alla gente viene presentata una facciata sfavillante di opportunità liberatorie (sei libero di inviare SMS a chi vuoi! E simili), dietro la quale i veri processi di asservimento e sfruttamento si sviluppano in modo strisciante e occulto. [...]

L’incontrollabilità degli effetti sull’ambiente va al di là degli specifici processi perversi, è intrinseca alla logica che sottende la scienza capitalista, la logica di sfruttamento (Baracca-2008). Sono convinto che, se il sistema punterà per sopravvivere su un’accentuazione esasperazione di mezzi e soluzioni tecnico scientifici sempre più raffinati, anziché su un radicale cambiamento dei meccanismi di fondo, il baratro si avvicinerà ulteriormente (rimando alle analisi di Alberto Di Fazio).

Non possiamo porci il problema di una transizione se non abbiamo un’analisi coerente, complessiva, di questi aspetti e questi processi. E temo che ne siamo molto lontani (come mi sembra ancora lontana la nascita di un soggetto antagonista collettivo capace di farsene carico).

Ancora su scienza e guerra

Ritorno agli aspetti della scienza, sicuramente parziali ma più consoni alle mie conoscenze. Ho già criticato (Baracca-2008) per la sua strumentalità il concetto di libertà della ricerca: se non altro perché allora si deve coerentemente denunciare in primo luogo il fatto che forse una metà della corporazione scientifica lavora in laboratori o progetti di ricerca militare, ed è quindi la prima da “liberare” da questo giogo. È in questo campo, come dicevo, che si promuove lo sviluppo più sfrenato di tecnologie avanzate e avveniristiche, per fini di distruzione e di morte, mentre le ricadute “civili” arrivano semmai, e in parte, molto più tardi, quando si sono esaurite le possibilità di sfruttamento delle tecnologie precedenti. Un esempio per tutti è costituito dalle nanotecnologie, che puntano allo sviluppo di sistemi di morte spaventosi e impensabili, che non lascerebbero nemmeno traccia del loro uso.[...]

Genetica, industrie biotech, armi biologiche, bioterrorismo, pandemie

Il riferimento obbligato è a un grande progetto patrocinato dalle potentissime corporations della Life Science, il “Progetto Genoma”, il sequenziamento del genoma umano, che avrebbe dovuto consentire di mettere le mani sul codice stesso della vita: il pretesto ufficiale come sempre appariva nobile, correggerne i “difetti” genetici e giungere ad una nuova creazione “perfetta”, cioè adattata alle nostre (o meglio alle loro) esigenze. Ebbene, quando il progetto venne portato a termine (ed accenneremo poi a come) ci si avvide che, per quegli scopi, non si era ottenuto nulla, perché il codice della vita si rivelò estremamente più complesso e diverso dal modello di Watson e Crick del 1953, chiamato da allora il «dogma fondamentale della biologia» (il termine la dice lunga), poiché il DNA che codifica per proteine è appena lo 0,3 % del totale: poiché (naturalmente) non si capiva a cosa servisse il restante 97 %, si arrivò addirittura a chiamarlo (con una protervia degna di super-uomo) “DNA spazzatura”, come se la natura sprecasse così il 97 % del proprio lavoro!

Ma il punto fondamentale, che purtroppo (o pour cause) sfugge alla quasi totalità delle persone (ma anche degli scienziati, gelosamente chiusi nel loro iper-specialismo), è che gli sviluppi sconsiderati (ancorché pianificati) di queste tecnologie rischiano di costituire uno dei più grandi rischi per l’umanità. Arrivato a manipolare le molecole fondamentali per la regolazione dei viventi,
l’Apprendista Stregone, “bio-Stranamore”, rischia davvero di innescare trasformazioni che nessuno potrebbe essere in grado di controllare. Basti ricordare i legami denunciati tra le ricerche sulle armi biologiche e le pandemie ricorrenti [...].

Come concludere? Il genere umano prepara la propria autodistruzione?

[...]Da un certo tempo mi risuonano le parole del grande genetista Ernst Mayr: «L’intelligenza superiore è un errore dell’evoluzione, incapace di sopravvivere per più di un breve attimo nella storia evolutiva». Vi è uno studio magistrale di Jared Diamond, Armi Acciao e Malattie, che ricostruisce il ruolo dell’ambiente, e le reciproche modificazioni, nella formazione ed evoluzione delle comunità umane durante la storia della nostra specie. L’intelligenza superiore da essa sviluppata interferì fin dalle origini con i meccanismi naturali dell’evoluzione biologica, piegandoli ai propri disegni, e lo ha fatto in modo sempre più profondo e radicale nel corso della sua evoluzione (eviterei termini come “progresso”, o anche “sviluppo”, che hanno connotazioni ideologiche). Del resto, Marx sottolineò la radicale differenza tra “l’ape e l’architetto”. A mio parere è venuto il tempo di fare un passo ulteriore: l’agire della specie umana è in sé “sostenibile”? La comprensione che abbiamo raggiunto dei processi di evoluzione naturale ci hanno insegnato che qualsiasi specie vivente abita questo Pianeta per un tempo limitato. È singolare che l’uomo nel suo agire quotidiano, nei sui progetti, non consideri mai questa conclusione per la propria specie. Fin dall’inizio la nostra specie ha utilizzato le risorse naturali in modo artificiale, sostanzialmente irreversibile, in contrasto con i cicli della natura e i meccanismi dell’evoluzione: mi sembra che non sia insensato pensare che tale agire (anche a prescindere dalle esasperazioni attuali) raggiunga un punto di rottura irreversibile degli equilibri della natura, lo acceleri, malgrado la capacità dell’intelligenza superiore di condizionare il corso dei processi naturali: ma la natura presenta il conto. Le considerazioni che ho sviluppato nel paragrafo sulle bioscienze illustrano bene questo ragionamento. Non mi sembra insensato pensare che il modo dissennato in cui la specie umana ha sfruttato, e sempre più sfrutta, le risorse naturali possa accelerare l’estinzione biologica come specie su questo Pianeta. Il concetto di sostenibilità non solo è un bluff ideologico, ma è decisamente di valore e significato scientifico.

So di avere divagato rispetto al tema del convegno, ma ritengo che oggi si debbano considerare anche prospettive di questo tipo. Potremmo correre il rischio che si avvicini minacciosamente una catastrofica transizione a un Pianeta dominato da topi e scarafaggi (ovviamente, “catastrofica” per noi, forse non per loro).

Scarica il PDF dell'intervento integrale

immagine dal sito ecosin.it *Angelo Baracca

"Dal 1968 Professore Incaricato, e dal 1980 Professore Associato di Fisica all’Università di Firenze. Ha tenuto corsi di Meccanica Statistica, Particelle Elementari, Storia della Fisica, Fisica per Corsi di Laurea in Farmacia, Scienze Geologiche, Scienze Biologiche e Biotecnologie. Ha svolto ricerche in Fisica delle Alte Energie, Meccanica Statistica, Fondamenti della Meccanica Quantistica, Storia della Fisica e della Scienza, Storia della Tecnologia Nucleare, Didattica della Fisica, Armamenti nucleari e relazioni internazionali. Ha pubblicato più di 100 articoli su questi temi in riviste internazionali e nazionali, e ha pubblicato vari manuali didattici e saggi. Ha collaborato con Università e Centri di Ricerca in Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Cuba, Argentina."

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